Lettera aperta di una Volontaria
Mi è stato consigliato di partecipare come volontario attivo a Ceralacca da un’amica, Elisa, già volontaria da parecchio tempo. Devo dire che inizialmente ho scelto di intraprendere il percorso un po’ per curiosità, un po’ per mettermi alla prova, senza sapere veramente a cosa stavo andando incontro. Elisa mi aveva parlato di quest’associazione, mi aveva descritto come ci si sentisse in famiglia, come si creasse un legame speciale con i ragazzi con disabilità, ma inizialmente devo dire che ero un po’ scettica. Fino a pochi mesi fa facevo semplicemente parte di quella società che non conosce, quella parte consistente di cittadini che in poche occasioni sono entrate in contatto con persone con disabilità e vivono la disabilità come uno dei tanti problemi della società, qualcosa che non li coinvolge direttamente.
Devo ammettere che mi ci è voluto poco per cambiare mentalità: i sorrisi dei ragazzi e la voglia di mettermi in gioco mi hanno permesso di aprire gli occhi e di cambiare ottica. La loro gioia e il loro affetto sono qualcosa di veramente raro all’interno di una società che non ha più tempo per niente, e condividere qualcosa con loro trasmette delle emozioni uniche. Ho conosciuto persone con diverse disabilità, l’handicap può essere infatti determinato nell’individuo da un difetto nella struttura fisica, da una limitazione nelle funzioni fisiche o da una diminuzione della capacità di compiere un’attività o di partecipare a tale attività. Attualmente al termine handicap si preferisce la parola disabilità, che mette in evidenza come lo svantaggio non sia una caratteristica della persona, ma un problema che nasce dal rapporto tra lo stato di salute di quel determinato individuo e l’ambiente in cui vive. Purtroppo infatti spesso è la società a ricordare costantemente alla persona con disabilità la sua diversità. L’individuo con disabilità sente in modo accentuato la sua diversità quando si trova a dover fronteggiare ostacoli materiali ‒ come i gradini per chi è su una sedia a rotelle o il telefono per chi è privo di udito ‒ oppure quando è oggetto della curiosità di chi lo circonda. In altre parole, la persona si sente disabile soprattutto quando gli altri la fanno sentire tale.
Mi capita spesso di sentire parlare delle persone con disabilità in modo stereotipato. Un individuo con disabilità, così come una persona affetta da una qualche patologia, appare spesso come “un’entità” separata dal resto della società. Le persone con disabilità vivono una condizione di “doppia esclusione”, ossia un’esclusione dovuta alla malattia, che è obiettiva e solo in pochi casi modificabile, e una dovuta al nostro modo di concepire la disabilità e le persone che hanno disabilità. La società vede negli individui con disabilità la malattia prima della persona. E’ uso comune soffermarsi così tanto sulla patologia da non riuscire ad individuare ciò che nelle persone che non hanno disabilità siamo abituati a guardare per prima cosa: carattere, preferenze, sentimenti.
Spesso le persone che si trovano per la prima volta a contatto con altre con disabilità sono portati ad etichettarli a seconda della patologia e si sentono in imbarazzo perché non sanno come comportarsi. Purtroppo è comune che diverse persone per paura di approcciarsi con loro tentino di evitarli o li trattano come se fossero dei bambini o più semplicemente dei malati prima che delle persone. Secondo l’associazione inglese “Scope about disability” il 67% degli inglesi fa fatica ad interagire con persone con disabilità, il 21% di età compresa tra i 18 e i 34 anni ammette di aver accuratamente evitato di parlare loro per timore di non sapere come comportarsi. Proprio per cercare di arginare questo muro l’associazione ha elaborato un vademecum dove sono raccolti diversi consigli su come comportarsi con le persone con disabilità, e soprattutto per evitare comportamenti inappropriati e inutili. La campagna di Scope, “Poni fine all’imbarazzo”, consiste in una serie di video che aiutano a riflettere sui nostri atteggiamenti in diverse situazioni: nelle occasioni in cui ci si stringe la mano, se l’interlocutore ha un’amputazione, è sufficiente porgere l’altra, senza stare a pensarci troppo (http://www.youtube.com/watch?v=vE2HgtoOE7g) e ancora se vi trovate davanti ad una persona con la sedia a rotelle vi consiglia di non inchinarvi. (http://www.youtube.com/watch?v=6wG_p7nc3wk )
Credo che i consigli portati dalla campagna di “Scope about disability” possano aiutarci a superare l’ostacolo determinato dalla superficialità, e ci permettano di affrontare in modo più sereno e razionale il nostro approccio con le persone con disabilità.
Maria G.